2° Parte

Nascita dell’horror gotico italiano (1957-1961)

 

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Come abbiamo visto nella prima parte, il cinema italiano del periodo muto era disseminato di elementi tematici fantastici ed horror, seppur inseriti più o meno marginalmente nei generi più in voga all’epoca come lo storico, mitologico, commedia,  melodramma… Ma un cinema horror italiano con una sua autonomia produttiva e creativa nasce solo nel 1957 con l’uscita del film I vampiri di Riccardo Freda (1909-1999), esperto mestierante che sin dal 1942 aveva praticato come regista e sceneggiatore tutti i filoni del cinema storico/avventuroso.

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I vampiri (1957)

Freda, consapevole del successo che stavano riscuotendo i nuovi horror prodotti dalla britannica Hammer (che a loro volta miravano a rinnovare i classici mostri americani della Universal – come Dracula, Frankenstein, l’Uomo Lupo… –) girò I vampiri in pochi giorni, quasi per scommessa, per dimostrare che anche gli italiani, già maestri in altri generi cinematografici, sapevano eccellere anche nel cinema fantastico, pur non avendo una consolidata tradizione alle spalle. La scommessa fu vinta dal punto di vista artistico, meno sotto l’aspetto commerciale dove il film riscosse grande successo all’estero ma passò inosservato in Italia. Stessa sorte toccherà ai film successivi dell’horror-gotico italiano, anche di altri registi.  Comunque già ne I vampiri si delinea quella caratteristica che costituirà il tratto distintivo del nostro cinema dell’orrore: la centralità della figura femminile, di volta in volta strega, vampira, spettro, dark lady o ambigua vittima, che incarna il male assoluto da cui deriva una rappresentazione dell’erotismo morbosa e deviata che diventerà sempre più esplicita e audace nelle pellicole degli anni successivi.

Naturalmente rivisto oggi I vampiri ci appare piuttosto innocuo ma all’epoca la vicenda della vecchia duchessa che vuole rimanere sempre giovane tramite trasfusioni di sangue ai danni di ragazze non consenzienti, preoccupò assai i produttori che, intimoriti dall’audacia del soggetto, fecero girare in un secondo momento a Mario Bava, (il fotografo del film, destinato a diventare a breve uno degli specialisti del gotico italiano) delle scene aggiuntive di rassicurante stampo ‘poliziesco’ per smorzare gli elementi fantastici ritenuti troppo violenti o trasgressivi, anche sotto l’aspetto visuale. Di notevole inventiva la realizzazione delle scenografie del castello Du Grand, nebbiosa struttura in disfacimento che sembra rispecchiare lo stato della protagonista la cui artificiosa gioventù è sempre sul punto di dissolversi. L’attrice Gianna Maria Canale (1927-2009), già moglie di Freda e regina indiscussa del genere peplum, fu la prima di una serie di protagoniste belle e malefiche che hanno attraversato il cinema horror italico. Per la scena della trasformazione della Canale, nella parte della duchessa Du Grand che invecchia a vista d’occhio, il versatile Bava, curatore anche degli effetti speciali, si inventò un procedimento simile a quello (tenuto segreto per molti anni) utilizzato nel Dr. Jekyll e Mr. Hyde del 1931, basato su un make-up applicato in colori contrastanti che veniva visualizzato gradualmente tramite l’uso di filtri colorati. La Canale non interpretò più film dell’orrore, dopo il ruolo della nobildonna che aspira all’immortalità, ma nel suo caso la vita imitò l’arte: nel 1964 si ritirò dalle scene anche in seguito ad un grave incidente stradale che la sfigurò, seppur temporaneamente. Ritiratasi su un’ isola per quattro decadi, non si fece più vedere dal suo pubblico per lasciare intatto il ricordo di una bellezza giovane ed eterna.

A Parigi vengono rinvenuti i corpi di due giovani ragazze, completamente dissanguati. La polizia brancola nel buio e i giornali cominciano a parlare di un assassino vampiro inafferrabile. Il caparbio giornalista Pierre Valentin vuole far luce sui delitti e comincia ad indagare per conto suo. Alcuni indizi sembrano condurre al castello Du Grand, abitato dalla vecchia duchessa Marguerite e da sua nipote Giselle…

I vampiri, grazie all’intraprendenza di Freda, era riuscito ad anticipare nell’uscita in Italia il celebre Dracula inglese impersonato da Christopher Lee, tuttavia nell’immediato il genere horror nazionale non ebbe alcun seguito, con l’eccezione di Caltiki nel 1959, fanta-horror realizzato sempre da Freda con la collaborazione di Mario Bava. Bisognerà aspettare il 1960 per poter assistere ad una produzione continuativa di film horror italiani con ben 5 pellicole realizzate. Il nostro cinema dell’orrore, nato inizialmente come fenomeno d’imitazione di quello britannico, fin da subito assumerà una sua autonomia creativa nelle tematiche e nello stile che a loro volta ispireranno gli horror della Hammer negli anni seguenti. Seppur tra mille difficoltà produttive e commerciali, l’horror italico si svilupperà all’insegna del macabro, del morboso, della perversione sessuale, della crudeltà e, come già detto, della donna malvagia posta al di sopra dei classici mostri e scienziati pazzi che pure non mancheranno di imperversare.

Fu sempre l’ingegnoso Freda ad inaugurare l’usanza di utilizzare pseudonimi anglofoni per i realizzatori di film di genere, dall’horror al western. Il motivo era esclusivamente commerciale, infatti un giorno notò che in un cinema di San Remo dove proiettavano I vampiri, la gente non entrava in sala perché si accorgeva dalle locandine che il film era realizzato da italiani, fatto che evidentemente li rendeva diffidenti verso un tipo di cinema tradizionalmente legato a produzioni firmate da nomi anglosassoni. Per cercare di rimediare a questo pregiudizio Freda per primo si firmò come Robert Hampton a partire dal film Caltiki. Seguirono il suo esempio praticamente tutti gli autori e attori di film di genere, compresi gli altri maestri del gotico italiano come Mario Bava (alias John Old o Hold) e Antonio Margheriti (alias Anthony M. Dawson o Daisies).

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L’amante del vampiro (1960)

Apriamo l’esposizione dei film horror usciti nel 1960 con L’amante del vampiro di Renato Polselli (1922-2006), regista e sceneggiatore romano, che si guadagnerà in seguito una certa fama di ‘autore maledetto’ per alcuni film visionari ed estremi come La verità secondo Satana (1970) e Riti, magie nere e segrete orge nel trecento (1971).
Il film, (intitolato all’estero The vampire and the ballerina) fu realizzato per sfruttare il successo del Dracula inglese. Seppur datato in alcuni luoghi comuni e per una sceneggiatura infarcita di dialoghi goffi e ingenui, la pellicola si distingue per un certo fascino morboso e per l’originale trovata del ribaltamento di ruoli con il vampiro maschio succube della sua compagna, la sensuale contessa vampira interpretata da Maria Luisa Rolando. L’attore Walter Brandi (1922-1996), nel ruolo del vampiro sottomesso, in seguito darà vita ad altri personaggi vampireschi, tanto da guadagnarsi l’appellativo di Dracula italiano. Per vivacizzare il tutto Polselli inserì alcune scene di danza, considerate abbastanza audaci per l’epoca ma comunque in linea con il blando permissivismo che stava prendendo piede nel cinema degli anni ’60. L’effetto dissolvenza del vampiro che si decompone venne realizzato dal truccatore Amedeo Mellone utilizzando un teschio autentico applicando il calco dell’attore e in seguito fatto sciogliere con l’ausilio di ventilatori ad aria calda. Il regista Polselli inoltre venne denunciato per questa scena considerata impressionante in quanto in una sala cinematografica erano presenti due donne incinta.

In una zona di campagna i contadini locali sono convinti che un vampiro assetato di sangue abbia aggredito alcune ragazze. Un corpo di ballo, ospitato in zona, una sera scopre che in un vicino castello diroccato vivono una contessa e il suo sinistro maggiordomo…

Simile nell’intreccio e nelle atmosfere (e anche nel titolo inglese The Playgirls and the Vampire) è il film L’ultima preda del vampiro (1960) di Piero Regnoli, figura importante del cinema horror italiano, già co-sceneggiatore de I vampiri. In un ruolo mostruoso, questa volta tutto maschile, troviamo ancora Walter Brandi che interpreta con abilità la doppia parte del giovane proprietario di un castello e del suo spietato antenato vampiro tenuto nascosto in un laboratorio sotterraneo ed esclusivamente interessato a nutrirsi del sangue di un gruppo di attraenti ballerine. Accanto alle ormai consuete tematiche horror goticheggianti troviamo quegli elementi, seppur vagamente accennati, di erotismo morboso che stanno diventando il marchio di fabbrica dell’horror italico.

Cinque attraenti ballerine in viaggio insieme al loro coreografo, sorprese da una tempesta, sono costrette a chiedere ospitalità presso un vecchio castello isolato. Il proprietario, uno strano nobile, concede loro rifugio ma a patto però che nessuna di loro lasci la propria stanza durante la notte. Una delle ballerine non obbedisce e l’indomani viene ritrovata morta…

 

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Il mulino delle donne di pietra (1960)

Uno dei migliori e più originali horror gotici italiani è senza dubbio il poco noto Il Mulino delle Donne di Pietra (1960) di Giorgio Ferroni (1908-1981), documentarista e regista anche di film mitologici e western ‘spaghetti’. Fu il primo horror in technicolor realizzato in Italia, con Scilla Gabel e Dany Carrel in veste di affascinanti interpreti. Ferroni, oltre a rivisitare il classico tema dell’artista pazzo (vedi La maschera di cera, 1953), inserisce malsane atmosfere che fanno pensare ai racconti di Poe e anticipa alcuni elementi di erotismo morboso che in seguito saranno propri del cinema horror nazionale (necrofilia, sadismo, feticismo…). In una scena, probabilmente sfuggita alla censura, si intravede un seno dell’attrice Dany Carrel legata ad un tavolo operatorio.

Una ricerca sull’arte popolare olandese porta lo studente Hans von Harnmen a conoscere Gregorius Wahl, uno scultore che vive con la giovane figlia Helfi. Gregorius ha allestito all’interno di un mulino un imponente e inquietante carillon, animato all’interno dalle statue a grandezza naturale di celebri eroine del passato che compaiono allo scoccare delle ore…

Mario Bava (1914-1980), tra i migliori fotografi italiani in attività dagli anni ’40, valido aiuto-regista e ingegnoso creatore di effetti speciali, esordì alla regia con La maschera del Demonio (1960), già recensito in separata sede su questo sito; ritenuto il più rappresentativo dei film gotici italiani, La maschera del Demonio segna l’esordio della regina incontrastata dell’horror italiano, la bella e conturbante attrice inglese Barbara Steele (1937) che capitò quasi per caso sul set di Bava che le cucì addosso i panni, per lei perfetti, della strega vampira; questo personaggio originale dell’horror nostrano tornerà anche nel successivo classico del gotico La cripta e l’incubo (1964). Attrice dal carattere ribelle e disinibito, la Steele divenne rapidamente un’icona indimenticabile dell’horror e lavorò con i più grandi registi di genere e no, da Freda (L’orribile segreto del Dottor Hichcock – 1962) e Antonio Margheriti (Danza macabra1963 e  I lunghi capelli della morte – 1965) fino a essere chiamata da Federico Fellini per un ruolo di donna fatale e incantatrice nel suo capolavoro (1963). Paradossalmente, al culmine della fama, le trame orrifiche dei suoi film entrarono in qualche modo nella sua vita: nel 1965, durante la proiezione a Torino di uno dei suoi film più famosi, Amanti d’oltretomba (v. sotto), un ragazzo strangolò la fidanzata nei bagni del cinema; assurdamente la Steele fu accusata di aver istigato l’omicidio tramite la sua interpretazione nel film e divenne un caso nazionale. Fortunatamente alla fine prevalse il buon senso. Sicuramente con lei il cinema horror italiano divenne un po’ meno di nicchia.

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La maschera del demonio (1960) – Barbara Steele

Il famoso regista di sceneggiati televisivi Anton Giulio Majano (1912-1994) si cimenta nell’horror con Seddok l’erede di Satana (1960) dove rispolvera per l’occasione il personaggio del licantropo interpretato da Alberto Lupo (!), celebre attore televisivo e cinematografico. Come nel successivo Lycanthropus (1961) di Paolo Heusch, il tema della licantropia viene abbinato a quello del mad doctor sulla falsariga del classico dr. Jekyll. In entrambe le pellicole abbiamo dei mostri ‘al maschile’ ma se agiscono in un certo modo è sempre a causa di una donna di cui sono follemente innamorati. Del resto il tema della passione estrema (quindi la donna, in qualche modo risulta sempre colpevole) ricorre in molti altri horror gotici italiani, mutuato dal melodramma storico nazionale e dal romanzo d’appendice. Lycanthropus, conosciuto all’estero con il titolo di Werewolf in a Girls’ Dormitory, è diventato di pubblico dominio per la versione americana.

Lycanthropus

In un collegio femminile si aggira un essere mostruoso che miete vittime tra le ragazze ospiti. I sospetti si concentrano su dei lupi visti nei dintorni e su un insegnante di scienze assunto da poco, ritenuto un lupo mannaro…

 Seddok l’erede di Satana

Dopo un litigio con il fidanzato, la ballerina Jeannette rimane coinvolta in un incidente automobilistico in cui rimane gravemente deturpata. Viene in suo aiuto il dr. Levyn che ha inventato un siero in grado di rigenerare i tessuti danneggiati a livello cellulare. Il siero sembra funzionare ma ha un effetto limitato nel tempo. Levyn, divenuto ossessionato da Jeannette, non esita a trasformarsi (tramite un altro composto di sua invenzione) in un mostro animalesco, con il folle scopo di uccidere altre ragazze per procurarsi una particolare ghiandola del loro corpo, indispensabile per la cura della sua amata…

Possiamo concludere questa panoramica sulle origini del cinema gotico horror in Italia con Il mostro dell’Opera (1961) diretto da Renato Polselli dopo L’amante del vampiro. In questo caso il mito del vampirismo si fonde con originalità con quello del fantasma dell’opera, figura orrifica creata da Gaston Leroux nell’omonimo romanzo del 1910. Polselli, rispetto al suo primo horror, spinge ancora di più su elementi morbosi e surreali mettendo in scena sequenze saffiche e donne vampirizzate incatenate nei sotterranei del teatro dove si svolge la claustrofobica vicenda. A dimostrare le difficoltà del genere a ritagliarsi un proprio spazio in Italia, il film uscirà nelle sale solo nel 1964 (e mai in prima visione).

Una compagnia di attori prova il suo spettacolo in un teatro su cui pesa la maledizione di un malvagio vampiro. Dopo una serie di spaventose apparizioni, l’essere che si nasconde nei meandri del teatro comincia ad aggredire i membri della compagnia…

Ascesa e declino del cinema gotico italiano (1962-1969)

Nel periodo dal 1957 al 1961 vengono tracciate le principali coordinate creative del cinema fantastico gotico italiano che poi si svilupperanno e muteranno in altri filoni e sotto-generi dell’horror ritenuti di volta in volta più remunerativi commercialmente. Certamente il genere gotico classico, con vampiri malefici, lugubri castelli e spettri vendicativi, seppur rivalutato ampiamente in tempi recenti, ebbe una diffusione stentata ed effimera nelle sale della nostra penisola; dopo il relativo exploit iniziale del 1960, ci fu un crollo delle produzioni nel 1961 per poi risalire nel 1963 fino a avere un altro crollo nel 1966. Stessa sorte toccherà al nostro cinema fantascientifico, sempre limitato da una cronica scarsità di mezzi e da scarsa inventiva; anzi la fantascienza cinematografica si affermerà ancora meno in Italia e non riuscirà a raggiungere in qualità e originalità i risultati dell’horror, salvo qualche eccezione come Terrore nello spazio (1965) di Bava.

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La frusta e il corpo (1963) – Daliah Lavi

Un pubblico impreparato e una critica bigotta e moralista non favorirono sicuramente il diffondersi del cinema fantastico. Riccardo Freda proseguì con coerenza ‘artistica’ il suo percorso nel cinema horror, privilegiando all’aspetto soprannaturale il tema della malvagità che nasce dalla perversione e dalla colpa dell’individuo. Ne L’Orribile Segreto del dottor Hichcock (1962) con Barbara Steele  in un duplice ruolo, gli aspetti necrofili della vicenda vennero attaccati dalla censura che riuscirà a rendere incomprensibile la pellicola grazie ai pesanti tagli effettuati. Nel seguito Lo spettro (1963), in pratica un giallo a tinte horror, Freda inaugura il mini-filone del ‘finto’ soprannaturale dove alla fine l’elemento razionale prevale su quello gotico fantastico. Pochi anni dopo Freda abbandona quasi definitivamente la regia a causa della crisi che investe tutto il nostro cinema di genere avventuroso e in parte horror, dopo il 1966. Va imponendosi invece un cinema western, prima violento e poi parodistico, e un cinema erotico di grande attrattiva ma di scarsa qualità che contaminerà pesantemente anche le pellicole dell’orrore. Mario Bava prosegue per la sua strada, incappando negli strali della censura, con La frusta e il corpo (1963) scabrosa storia di sadismo e di sottomissione che vede protagonisti l’onnipresente Chris Lee e la splendida attrice israeliana Daliah Lavi (1942) che ci offrirà un’altra interpretazione intensa ne Il Demonio (1963) di Brunello Rondi, singolare pellicola che sembra anticipare il filone esorcistico demoniaco degli anni ’70.

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L’Orribile Segreto del dottor Hichcock (1962)

L’instancabile Mario Bava raggiunse risultati di ineguagliata raffinatezza nel gotico con i capolavori I Tre Volti della Paura (1963 – composto da 3 episodi) e Operazione Paura (1966) ma intuendo già i limiti di un genere da sempre accolto tiepidamente dal pubblico, gira nel 1962 il primo vero esemplare di giallo italiano, La Ragazza che Sapeva Troppo che farà  da apripista ai thriller sanguinari di Dario Argento. Nella sua fase di maturità il gotico è rappresentato anche dal valente artigiano del fantastico Antonio Margheriti (1930-2002). Attivo soprattutto nella fantascienza, Margheriti gira nel 1963 Danza Macabra e La Vergine di Norimberga. Probabilmente Danza Macabra si configura come uno dei migliori horror del periodo, presentandoci un insolito soggetto che vede un inquietante E. Allan Poe, che sfida un giornalista scettico a passare la notte all’interno di un castello infestato da presenze spettrali.

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Amanti d’oltretomba (1965) – Barbara Steele

Un’altra opera che rappresenta idealmente il culmine creativo e tematico raggiunto dal gotico soprannaturale italiano è Amanti d’oltretomba (1965) diretto da Mario Caiano. Ancora una volta una magnetica Barbara Steele domina la scena sdoppiandosi in due ruoli in una storia paurosa e intricata che fonde con disinvoltura elementi fantascientifici, thriller e fantasmi terrificanti.
Ma ormai questa prima fase del cinema fantastico italiano di ispirazione prevalentemente gotica stava volgendo al tramonto; per qualcuno il canto del cigno del gotico italiano è rappresentato dal film Contronatura (1969), considerato il capolavoro di Margheriti, che miscela perfettamente sedute spiritiche e segreti inconfessabili con forti immagini erotiche a sfondo masochista e lesbico che fecero vietare il film ai minori di 18 anni.
In seguito l’horror italiano abbandonerà streghe e sepolcri nebbiosi per diventare thriller urbano di ambientazione moderna (Profondo rosso di Dario Argento), sempre più violento ed estremo, fino ad approdare allo splatter di Lucio Fulci e ai cannibal movies di Ruggero Deodato e Umberto Lenzi ambientati in paesi selvaggi ed esotici. Ma un elemento centrale rimarrà perlopiù invariato rispetto all’horror delle origini: la donna, sempre vittima colpevole o fonte di ogni nequizia.

 

1° Parte