Star Trek: Strange New Worlds è una delle svariate serie originate dal successo della serie cult Star Trek degli anni Sessanta. E’ stata trasmessa per la prima volta dal network Paramount+ a partire dal 2022 e, arrivata alla seconda stagione, ancora è in produzione. E’ un prequel e spin off delle serie Star Trek classica (The Original Series) e Star Trek Discovery, e racconta con garbo d’altri tempi le avventure della USS Enterprise NCC-1701.
E’ un’astronave capitanata da Christopher Pike e diretta là dove nessuno era giunto prima per aiutare i pianeti inclusi nella Federazione, assicurarsi nuovi alleati e prevenire per quanto possibile attacchi di civiltà ostili. Si respira un’atmosfera vintage che investe ogni aspetto della narrazione. In controtendenza con gran parte delle serie attuali, gli episodi sono (quasi) autoconclusivi. Ci sono alcune sotto-trame secondarie che si sviluppano nel corso delle puntate, e sono eventi minori, ininfluenti rispetto a quanto si narra nell’episodio e che avranno uno sviluppo successivo. Quasi sempre i fatti sono comprensibili anche qualora si ignorasse la situazione precedentemente narrata, soprattutto se si è fan dell’universo di Star Trek e si ha un minimo di familiarità con le civiltà che lo popolano. Ogni episodio è introdotto da un breve riassunto che evidenzia le premesse per l’episodio, facilitandone la comprensione anche ai neofiti e a quanti visionano le puntate saltandone qualcuna.
Ritroviamo personaggi che affiancheranno il capitano Kirk o saranno presenti anche in altre opere del fandom. Ovviamente questa scelta è un’arma a doppio taglio. Da un lato lo spettatore, soprattutto se over quaranta, ritrova i suoi beniamini e si sente piacevolmente a casa, riscoprendo emozioni vissute quando magari era ragazzino. Per contro, l’equipaggio affronta grandi pericoli ma lo spettatore può sapere in anticipo che alcuni personaggi se la caveranno in quanto si ritrovano in film e in serie ambientate successivamente. Le sceneggiature ideate da Akiva Goldsman, Alex Kurtzman e Jenny Lumet devono obbligatamente seguire la linea temporale già stabilita e contenere la creatività nei limiti dettati dal ‘canone’ imposto dagli autori precedenti, anche se questo non ha impedito nella seconda stagione, di tentare strade alternative con episodi innovativi e sorprendenti come l’episodio ‘musical’ cioè cantato dagli attori e il crossover con Lower Decks, una delle serie Star Trek animate. Tornando ai limiti imposti dal ‘canone’, ad esempio è ovvio che nessuno ucciderà Spock e Uhura, se poi dovranno essere presenti sull’USS Enterprise in eventi successivi. La narrazione di conseguenza ha toni rassicuranti, con esiti prevedibili almeno per i personaggi più noti e dotati di un percorso ben stabilito. Per gli altri, le tragedie sono sempre telegrafate, e lo spettatore intuisce con largo anticipo il dramma che si consumerà. Regna l’ottimismo, sebbene alcuni fallimenti siano inevitabili e non sempre le missioni riescano ad avere l’esito sperato.
Il giovane Spock (Ethan Peck) è alle prese con la sua natura parte vulcaniana e parte umana. Uhura (Celia Rose Gooding) deve fare i conti con il suo passato doloroso e i dubbi su cosa fare della propria vita. Una Chin-Riley (Rebecca Romijn) è un’Illyriana discriminata dalla Federazione in quanto il suo popolo migliora la propria genetica per potenziarsi. La’an Noonien-Singh (Christina Chong) ha perso la famiglia massacrata dai Gorn ed è parente del terribile Khan. Il medico M’Benga (Babs Olusanmokun) ha una figlia malata terminale conservata in una sorta di stasi in attesa di una cura. L’infermiera Christine Chapel (Jess Bush) ancora non si strugge per l’amore non corrisposto da Spock. Hemmer (Bruce Horak) un albino Andoriano cieco, è l’ingegnere capo, pacifista ma pronto al sacrificio estremo. Lo stesso capitano Pike (Anson Mount) è oppresso da una visione di un possibile incidente futuro in cui moriranno alcuni cadetti e lui stesso resterà paralizzato e sfigurato (come ben sanno i fan della serie classica con protagonista il capitano Kirk successore di Pike al comando dell’Enterprise). L’introspezione è una parte importante delle avventure, anzi, ne è l’anima.
Le vicende di per sé non brillano per originalità, c’è sempre un pianeta da salvare o un falso S.O.S. che conduce la nave spaziale in qualche trappola ordita da alieni ostili alla Federazione. Quello che rende interessante le vicende sono proprio i caratteri dei personaggi, colti nelle loro capacità e soprattutto nelle loro debolezze. In quella ciurma multietnica e multirazziale nessuno è perfetto, e i personaggi sono resi più interessanti grazie alle proprie fragilità piuttosto che per eventuali poteri sovrumani.
Mentre la serie classica si concentrava sul capitano Kirk, sul medico Bones e sullo scienziato Spock, con qualche incursione breve di Uhura, di Sulu e dell’ingegnere Scotty, ogni episodio di Star Trek: Strange New Worlds indaga e approfondisce personaggi diversi. Il capitano perde il primato di protagonista assoluto, e diviene un personaggio al pari degli altri come importanza nella narrazione. Ciascuno dei personaggi sul ponte di comando o dotato di un ruolo ben preciso scrive un proprio diario, raccontandoci gli eventi di cui è testimone e protagonista. La struttura generale è quella di una partitura di cool jazz, con parecchi solisti che interpretano un tema comune con strumenti diversi.
Gli attori mancano della raffinatezza interpretativa di Sir Patrick Stewart, il carismatico Picard, già protagonista di Star Trek: The Next Generation (1987–1994) e della successiva Star Trek: Picard (2020-2023); non sono tutti volti noti del palcoscenico prestati al cinema, quanto seri professionisti adatti a prodotti televisivi. Si difendono bene in quanto hanno copioni intelligenti sottomano e sceneggiature che si prendono i giusti tempi per descrivere i caratteri, e l’evoluzione delle persone in risposta alle avventure che affrontano.
Come da tradizione per l’universo di Star Trek, ci sono messaggi e spunti di riflessione, orientati al progressismo (anche se non in maniera così esasperata come nella precedente Star Trek: Discovery). Non è solo questione di includere nelle vicende personaggi disabili, asessuati, gay\lesbo o transgender: sarebbe poca cosa, in fondo ci sono alieni e civiltà molto diverse da quelle che conosciamo, sarebbe ingenuo applicare loro categorie proprie della cultura terrestre, comunque diversa da quella nostra attuale in quanto le avventure si svolgono nel 2259 D.C..
Sulle navi della Federazione si impara che la diplomazia e l’astuzia valgono assai più dei laser e delle bombe, e che il confronto va sempre cercato sul piano della comunicazione piuttosto che iniziando conflitti. Le battute evidenziano le profonde differenze culturali che intercorrono tra popoli e specie diverse, capaci però di lavorare e vivere insieme in armonia, imparando a convivere e collaborare. Il bello è che tutti, alieni o umani essi siano, vengono dotati di una propria storia, di un proprio modo di reagire alle situazioni che rispecchia il diverso modo di vedere la vita, pregiudizi inclusi. I meccanismi narrativi applicati in passato per il vulcaniano Spock qui vengono estesi ai vari personaggi, che brillano di luce propria e trasmettono valori positivi. In alcune situazioni si rischia di esagerare con la retorica esplicita; ebbene, l’intento educativo progressista è un po’ da sempre il marchio di fabbrica di un prodotto che nasce per un pubblico allargato, multigenerazionale e con alle spalle tipi e livelli di istruzione disomogenei. Sta allo spettatore scegliere se fermarsi alla vicenda in sé oppure confrontarsi con le riflessioni sociologiche e filosofiche: il destino è fissato o possiamo cambiarlo? E’ giusto sacrificare tanti al benessere dei singoli? Si può venire a patti col passato? Vince la logica o l’istinto?
Il sense of wonder è meno accentuato rispetto alla serie originale, ma c’era da aspettarselo, nonostante le sceneggiature cerchino di ricreare le aspettative di un tempo. Ormai la grafica digitale, anche quando non è eccelsa, riesce a creare mondi e scenari abbastanza verosimili e al contempo spettacolari. Però è difficile sorprendere e meravigliare solo con gli effetti speciali, poiché ormai siamo abituati ai miracoli tecnologici. In una serie improntata alla conoscenza dell’altro, al confronto tra civiltà, il prodigio visivo è necessario ma non deve obbligatoriamente essere il fiore all’occhiello della produzione. La meraviglia nasce dalla scoperta dell’altro, e dal punto di vista visivo, il sapore vintage può essere apprezzabile poiché è un richiamo diretto a quanto ha trasformato una serie televisiva in un classico.
Nonostante alcune ingenuità, Star Trek: Strange New Worlds, (o come la chiamano i trekkers, SNW) mantiene ampiamente le promesse di uno spettacolo piacevole e intelligente.