Dune parte 2 - locandina

L’attesa seconda parte di Dune ha riscosso un notevole successo e raccolto consensi entusiastici ma essendo essenzialmente un blockbuster con ambizioni ‘autoriali’, con tutti i limiti e compromessi del caso, non è (e non può essere) un film memorabile e probabilmente non diventerà mai un cult come il sottovalutato Dune di David Lynch.

 

 

 

 

L’inevitabile confronto con il film Dune di David Lynch

Il regista canadese Denis Villeneuve, considerato uno dei cineasti più dotati della sua generazione, è passato con disinvoltura da un cinema decisamente impegnato e ‘autoriale’ a uno più di ‘genere’ dove ha dimostrato una certa dimestichezza, spaziando dal thriller (Prisoners, Sicario, Enemy) alla fantascienza (Arrival, Blade Runner 2049), senza rinunciare tuttavia alla suo talento registico sofisticato. Nel caso di Dune, Villeneuve si cimenta coraggiosamente con un altro mostro sacro della fantascienza dopo Blade Runner tanto più che l’ambiziosa e innovativa space opera di Frank Herbert (1920-1986) ha già avuto una trasposizione cinematografica (il tormentato e problematico Dune di David Lynch) e due televisive, le miniserie dei primi anni 2000 (Dune – Il destino dell’universo, I Figli di Dune) che coprono più che validamente l’arco narrativo dei primi tre romanzi della saga (Dune, Messia di Dune, I figli di Dune).

Era quindi strettamente necessario un altro adattamento? Aldilà delle legittime considerazioni di carattere commerciale, s’intende. Secondo noi no, nonostante sia innegabile che il budget disponibile sia stato superiore e gli effetti speciali odierni (CGI) siano indubbiamente migliori di quelli del film di Lynch e delle 2 serie TV realizzate piuttosto poveramente ma molto fedeli ai romanzi. Ma in un’epoca in cui qualsiasi produzione anche di media entità può disporre di effetti speciali digitali di una certa qualità, a cui in verità ci si assuefà in fretta, bisognerebbe puntare anche su altri elementi per cercare di differenziarsi dai predecessori. Diciamo questo perché Dune di Villeneuve non aggiunge nulla di nuovo o di sorprendente alle precedenti trasposizioni (almeno per chi ha letto i romanzi e visto il film di Lynch e le miniserie televisive) anzi, nonostante la grandiosità innegabile delle scenografie e degli effetti speciali e un arco narrativo potenzialmente meglio sviluppato, data la possibilità di suddividere il film in due parti, si riscontrano, come vedremo in dettaglio più avanti, alcune scelte discutibili in fase di sceneggiatura e scene clou ingiustificatamente frettolose.  Trattandosi di un blockbuster che deve rispondere anche ad altre logiche, un certo appiattimento e semplificazione della saga letteraria è da considerarsi inevitabile, seppur non manchino incongruenze e aspetti poco plausibili nello svolgimento degli eventi. Tutti difetti, quando presenti, su cui si poteva soprassedere sul quasi ‘psichedelico’ film di Lynch funestato dai tagli, ma che risultano meno giustificabili in un film di tale portata e ambizione, perché facilmente evitabili.

Già che ci siamo sfatiamo l’erronea convinzione su una manifesta inferiorità del Dune di Lynch in confronto al Dune attuale, in quanto a scarsa aderenza alla pagina scritta e alla poca chiarezza espositiva della complessa vicenda: se valutiamo la versione uncut ‘Alternative Edition Redux‘ del film di Lynch (anche se non riconosciuta ufficialmente) possiamo affermare che non è poi così così inferiore qualitativamente (effetti digitali a parte) al film di Villeneuve, anzi… Lynch aveva anche girato un finale alternativo (visibile qui su youtube) uguale a quello del romanzo e quindi parzialmente vicino a quello del film attuale. Dalle seguenti clip salta subito all’occhio una sostanziale uguaglianza tra i due film, almeno nelle sequenze chiave della storia. Naturalmente ci sono anche delle differenze (scenografie, costumi, fotografia) ma le 2 parti del film di Villeneuve sono in sostanza un clone del criticato e vituperato film di Lynch e non riescono a discostarsene a sufficienza per apportare significativi miglioramenti. E quando lo fanno non è necessariamente in meglio.

 

 

Non vogliamo con questo stroncare o sminuire eccessivamente l’operato di Dennis Villeneuve, che consideriamo comunque un ottimo regista, ma solo stigmatizzare la mania di Hollywood per i remake e i reboot, anche di validi film del passato che sarebbe meglio non ‘toccare’, solo per ottenere incassi facili e immediati. Siamo consapevoli che l’aspetto commerciale è fondamentale per il cinema, ma la nostra vuole essere una critica ‘provocatoria’ anche nei confronti di certi giudizi eccessivamente entusiastici sul film. Del resto fin dagli inizi del cinema, soprattutto ad Hollywood, era consuetudine realizzare rifacimenti di quelle pellicole ritenute di potenziale gradimento per il grande pubblico. Naturalmente se, come sembra, si porteranno sullo schermo i successivi romanzi di Herbert (Messia di Dune, I figli di Dune), allora in questo caso Dune parte 1 e 2 trova la sua vera ragione di essere.

Pregi e difetti di Dune – Parte 2 e l’inevitabile confronto con il romanzo

Premettendo che saghe letterarie di tali dimensioni e complessità possono trovare, per ovvi motivi, la loro trasposizione ideale solo in una serie TV, l’aver suddiviso il film in 2 parti (del resto anche il primo romanzo di Dune fu originariamente pubblicato in due parti), ha permesso al regista di poter usufruire, almeno sulla carta, di una maggiore libertà nello sviluppo della storia da raccontare. Annunciato come un adattamento più fedele all’opera letteraria e più attento nel riportare sullo schermo la visione e le idee di Frank Herbert, Dune di Villeneuve è un film magniloquente, realizzato con rigore e professionalità che porta a compimento la sua difficile ‘missione’ ma senza avere quel qualcosa in più che lo renda un’opera di fantascienza cinematografica fuori dal comune o indimenticabile. Come del resto è accaduto per il più che dignitoso sequel di Blade Runner, ben confezionato e rispettoso dell’originale ma che non ha lasciato traccia. Nonostante i progressi delle tecnologie digitali abbiano facilitato la trasposizione sullo schermo di opere di fantascienza, prima ritenute impossibili da realizzare, se non a costi proibitivi, questo tipo di cinema è divenuto piuttosto ‘omologato’ sotto l’aspetto visivo e creativo. Se nelle corde ‘artistiche’ di David Lynch non rientra il cinema ‘impegnato’, in quelle di Denis Villeneuve manca (o comunque non è prevalente) l’aspetto più visionario e quel ‘sense of wonder’ caratteristico della ‘space opera‘ classica. L’esotico e semi feudale impero galattico, che si è evoluto in una società essenzialmente anti-tecnologica (senza macchine o calcolatori) e che quindi predilige sviluppare le facoltà mentali di determinati individui tramite selezione genetica, ci viene calato dall’alto con tutte le sue incongruenze ed omissioni dovute anche a certe scelte del regista che ha privilegiato alcuni aspetti a discapito di altri, seppur fondamentali per la comprensione e la plausibilità dell’universo creato da Frank Herbert. Manca in sintesi un world-building convincente. Intendiamoci, la resa tecnica e visiva del film è indiscutibilmente straordinaria, soprattutto nelle scene degli assalti alle mietitrici della spezia, nella cavalcata di Paul Atreides sul dorso del vermone ciclopico, e nei combattimenti nell’arena su Giedi Prime (ripresi fedelmente dal romanzo), il pianeta dei crudeli Harkonnen, magistralmente ricostruito con le sue incombenti architetture da incubo illuminate dalla luce ‘aliena’ di un sole ‘nero’. Invece tra le mancanze od omissioni più rilevanti c’è sicuramente l’assenza della Gilda Spaziale (tranne una fugace apparizione nella Parte 1) e dei suoi piloti mutanti, in grado di navigare nello spazio interstellare grazie alle facoltà straordinarie dovute all’assunzione della ‘spezia’ che permette loro di dominare lo spazio-tempo e quindi di viaggiare nello spazio con tempi accettabili per gli standard umani. Su questo elemento David Lynch ha girato una delle scene più weird e immaginifiche del suo film (l’incontro tra l’imperatore e un pilota mutante della Gilda e i suoi accoliti). Anche nei romanzi del ciclo di Dune la Gilda con i suoi navigatori compare pienamente nel secondo romanzo ma lo loro importanza e il loro potere sono evidenti fin dall’inizio. Invece Villeneuve ignora volutamente questo aspetto fondamentale per dare maggiore spazio alla Sorellanza Bene Gesserit e alla cultura Fremen. Scelta legittima che però non aggiunge nulla in senso migliorativo all’economia della storia, anzi come vedremo, rende piuttosto improbabile lo scontro tra i ‘tecnologici’ Harkonnen e gli indigeni Fremen. Infatti nel film, gli Harkonnen e le truppe imperiali Sardaukar (la cui superiorità guerresca è molto enfatizzata nel romanzo), appaiono, poco credibilmente, inetti e stupidi: per buona parte della pellicola non riescono a individuare sul pianeta le basi e le città dei Fremen, nonostante la strumentazione avanzata e le armi pesanti di cui sembrano disporre, e si ostinano ad ingaggiare sul terreno desertico lo sfuggente nemico in combattimenti all’arma bianca da cui puntualmente escono sconfitti. Si parla a lungo di una fantomatica zona meridionale del pianeta ritenuta inabitabile e inaccessibile ma che nessuno per qualche ragione riesce a controllare o esplorare. Poi tardivamente utilizzano con successo l’artiglieria per distruggere uno dei santuari dei guerriglieri Freemen. In verità l’incapacità degli Harkonnen e degli imperiali di vedere certe zone del pianeta o di scovare i ribelli Fremen trova una spiegazione logica nelle pagine del romanzo dove gli stessi Fremen hanno stretto un patto con la Gilda Spaziale, in quanto unici detentori di tecnologie spaziali, per rendere il pianeta Arrakis non sorvolabile da satelliti o sonde spia, in cambio di maggiori forniture di spezia ai navigatori della Gilda. Avendo Denis Villeneuve omesso questo aspetto, è inevitabile che il tutto appaia illogico e un po’ sciocco e lo spettatore potrebbe chiedersi: ” Come mai gli Harkonnen e le truppe scelte imperiali, che vediamo equipaggiati con tecnologie avanzate e macchine volanti non riescono a trovare e sconfiggere i laceri beduini del deserto ? “. Persino il visionario e lisergico David Lynch si era reso conto che sullo schermo poteva apparire impari e improbabile la lotta tra Harkonnen e Fremen e infatti aveva dotato i ribelli guidati da Paul Atreides di una nuova arma, ‘Il modulo estraniante’ (che non esiste nei libri) basata sull’amplificazione delle onde sonore della voce, per rendere più credibile ed equilibrato il confronto bellico.

Nel romanzo Frank Herbert ci lascia lunghe pagine di riflessioni sull’ecologia di Arrakis/Dune, sull’antropologia dei Fremen, e sulle implicazioni politiche e religiose che sono alla base del conflitto planetario. Discutibilmente Villeneuve tralascia un altro elemento fondamentale e suggestivo del romanzo ovvero quello ecologico: infatti i Fremen nel libro hanno un piano segretissimo a lungo termine per rinverdire il desertico Dune nel corso degli anni e che tengono gelosamente nascosto grazie al sopracitato patto con la Gilda Spaziale. Inoltre il regista, forse per enfatizzare il ruolo di Paul come futuro (falso) Messia religioso, adorato dalle masse Fremen pronte a scatenare una devastante guerra santa in tutta la galassia, si inventa una superflua seconda popolazione di Fremen, abitanti del fantomatico sud del pianeta, definiti come ‘fondamentalisti’ che appaiono piuttosto fugacemente e più che altro sono solo nominati nei dialoghi. Le terribili visioni premonitrici di Paul sulla sanguinosa guerra santa che coinvolgerà tutti i pianeti dell’impero sono mostrate in maniera ripetitiva e poco incisiva.

Una serie di cambiamenti per snellire la narrazione rispetto al libro non apportano miglioramenti significativi: ad esempio nel libro, Chani è una giovane donna guerriera, figlia di Liet-Kynes (l’ecologo imperiale), che ama Paul e gli dà un figlio. Nel film, il suo ruolo è diverso, ovvero quello di cominciare a nutrire dei dubbi sulla figura di Paul come messia, un modo frettoloso forse per anticiparci quello che avverrà nel terzo film della saga, basato sul libro Messia di Dune. Ma la mancanza di questi elementi nel film non rispecchia il legame profondo tra Chani e Paul che leggiamo nel romanzo. Così come l’aver cancellato il figlio di Paul e Chani e la sua parentela con l’ecologo, anche non aver fatto nascere Anya (figlia di Lady Jessica), la sorellina di Paul dai forti poteri psichici (che uccide il barone nel romanzo), non costituiscono delle scelte narrative convincenti o utili.

Però secondo noi è il salto temporale operato l’aspetto più discutibile. Infatti nel libro, Herbert introduce un salto temporale di due anni dopo che Paul si unisce ai Fremen. Questo permette lo sviluppo di relazioni e rende meno rapida e più credibile l’ascesa al potere di Paul e il suo adattarsi alle difficili usanze dei Freemen. Nel film, l’eliminazione di questo salto temporale accelera l’intera narrazione in maniera eccessiva e soprattutto non necessaria. Anche in Dune – Parte 1 l’intervallo temporale intercorso tra l’arrivo e l’ambientazione su Arrakis degli Atreides e la successiva invasione degli Harkonnen è sembrato troppo breve.

Si arriva alla scena madre finale della battaglia contro l’imperatore e le sue truppe, con il fiatone: gli imperiali si ammassano ingenuamente in uno spazio ristretto e vengono travolti dai vermi giganti in una scena spettacolare ma dalla durata di pochi secondi, troppo poco dopo l’attesa creata sulle formidabili creature. Paul ha la sua vendetta e dopo il duello vincente con lo psicopatico Feyd-Rautha, si incorona imperatore e dichiara di sposare Irulan, la figlia del deposto imperatore, come nel romanzo. Poi, sempre di gran fretta, i Fremen si precipitano sui velivoli lasciati dagli sconfitti (ma dove e quando hanno imparato a pilotarli?) per affrontare le altre Grandi Case dell’Impero che nel frattempo sono sopraggiunte in orbita intorno a Dune, non avendo riconosciuto come legittimo il nuovo imperatore… Come nella Parte 1 gli scontri e le battaglie di massa sono ben coreografate ma appaiono troppo ‘pulite’ e perfette. Tutto sembra scorrere via senza suscitare particolare pathos o epicità (presenti invece nel libro e nel Dune di Lynch). Costituiscono un’ eccezione i cruenti e drammatici combattimenti di Feyd-Rautha nell’arena contro i prigionieri Atreides, ambientati sull’alieno pianeta degli Harkonnen (come nel romanzo).

Personaggi e interpreti

Seguendo le ormai consuete ‘indicazioni’ di Hollywood, alcuni personaggi maschili del romanzo sono stati declinati al femminile e in generale le figure femminili hanno un maggiore peso e approfondimento. Tutto ruota intorno agli intrighi delle ‘streghe’ Bene Gesserit (convincenti le interpretazioni di Charlotte Rampling/Reverenda Madre Mohiam e Rebecca Ferguson/Lady Jessica) ma a discapito di altre figure importanti nell’universo di Dune come i Navigatori della Gilda Spaziale e i computer umani Mentat. L’ imperatore interpretato da un senile Christopher Walken in modalità ‘Joe Biden’ è messo in ombra dalla figlia Principessa Irulan (Florence Pugh). Chani/Zendaya appare imbronciata per buona parte del film. Paul Atreides/Timothée Chalamet  si impegna duramente nella parte ma non sembra troppo convincente come guerriero Atreides/Fremen in quanto gli manca il physique du role. Tra i cattivi Harkonnen il più riuscito è il letale Feyd-Rautha interpretato da Austin Butler in versione albino pelato, sadico e crudele ma con un suo codice d’onore. Inquietante risulta l’obeso volante Barone Harkonnen di Stellan Skarsgård ma appare sullo schermo troppo poco. Il massiccio e feroce Rabban di Dave Bautista non è troppo sveglio ed eccede in attacchi di ira dando sfoggio di una recitazione costantemente sopra le righe. Risulta apprezzabile il tentativo del regista di rappresentare gli Harkonnen e il loro pianeta in maniera ‘weird’ e aliena, cercando di discostarsi dai grotteschi e folli Harkonnen di Lynch e da quelli più ‘realistici’ del romanzo. I Fremen, a parte Stilgar/Javier Bardem e Zendaya sono una massa indistinguibile, molto simili (forse troppo per un pianeta lontano nel tempo e nello spazio dalla nostra Terra) alle popolazioni beduine del Medio Oriente (Giordania, Emirati) dove in effetti sono stati girati gli esterni dei paesaggi desertici.

In sintesi, Dune – Parte Due è un film di grande impatto ‘sensoriale’ (grazie anche alla colonna sonora di Hans Zimmer) con una ricchezza visiva eccezionale. Ma alcune variazioni superflue rispetto al romanzo di Frank Herbert sono discutibili e non elevano certo il film al rango di capolavoro come qualcuno ha fatto.

Titolo originale: Dune: Part Two
Regia: Denis Villeneuve
Sceneggiatura: Denis Villeneuve, Jon Spaihts
Fotografia: Greig Fraser
Montaggio: Joe Walker
Musiche: Hans Zimmer
Produzione: USA – Legendary Entertainment – durata 166 minuti
Attori: Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Dave Bautista, Stellan Skarsgård, Charlotte Rampling, Zendaya, Josh Brolin, Javier Bardem, Austin Butler