Life: Non oltrepassare il limite

L’equipaggio di una stazione spaziale internazionale è in procinto di fare una delle scoperte più importanti della storia: raccogliere la prima prova di una vita organica su Marte. Quando l’equipaggio inizia a svolgere le prime ricerche sul campione portato sulla base spaziale, capirà presto di trovarsi di fronte una forma di vita più intelligente e pericolosa del previsto…

Prima di Life: Non oltrepassare il limite

Dopo l’Alien (1979) di Ridley Scott è ancora possibile fare un film sufficientemente originale sullo stesso argomento? Probabilmente no, ma l’idea su una forma di vita aliena che si aggira minacciosa su un’astronave o su una base spaziale funziona sempre dal punto di vista della suspense. Ancor prima di Alien, i B movies fanta-horror degli anni ’50 e ’60 ci avevano offerto un colorato campionario di ‘intrusioni’ aliene a bordo di navi spaziali a danno degli sventurati equipaggi umani: a memoria ricordiamo l’antesignano Il mostro dell’astronave (It! The Terror from Beyond Space -1958) di Edward L. Cahn. In questo caso il mostro del titolo è un marziano ostile che si introduce furtivamente a bordo dell’astronave e comincia a fare strage degli astronauti. La goffa creatura rispecchiava la difficoltà dell’attore Ray “Crash” Corrigan di recitare indossando il pesante e scomodo costume da alieno. Per salvaguardare l’effetto suspense ed evitare possibili ridicolaggini si decise saggiamente di far apparire il mostro, almeno inizialmente, sempre in penombra con discreti risultati orrifici per l’epoca.

Il mostro dell’astronave – 1958

Mentre l’alieno si fa largo tra le sezioni dell’astronave sfondando implacabile paratie di cartone, i superstiti asserragliati devono escogitare un modo per sopravvivere e sconfiggere la creatura. Come vediamo ci sono già tutti gli ingredienti presenti nelle pellicole che seguiranno su questo tema. Le caratteristiche della creatura potranno cambiare ma lo schema della storia sarà sempre lo stesso. La differenza semmai la faranno la qualità della regia e degli effetti speciali e il budget a disposizione.
Benché realizzato in pochi giorni con un budget minimo, il successivo Queen of Blood (1966) di Curtis Harrington introduce altri elementi che saranno poi presenti in Alien: l’SOS misterioso che attira i terrestri in pericolose esplorazioni, la scoperta di manufatti alieni e il finale aperto non proprio da ‘happy end’. Questa volta i membri dell’equipaggio (tra cui si distingue un giovanissimo Dennis Hopper) hanno a che fare con un’avvenente aliena (nonostante il colorito verdastro e la buffa capigliatura) che si rivela essere una vampira succhiasangue dai poteri ipnotici con cui ammalia le sue vittime maschili. Tuttavia gli spunti potenzialmente misteriosi e originali sono vanificati da una regia sciatta e soprattutto da un ritmo soporifero a cui anche contribuiscono i troppi dialoghi via radio tra astronauti e scienziati. Alla fine l’affascinante vampira sarà sbrigativamente messa fuori gioco con un graffio dall’unica donna dell’equipaggio, insensibile alle sue attrattive. Ma lascerà dietro di sé delle uova gelatinose…
Ancora più delirante e trash è la coproduzione USA-Giappone Il fango verde (The Green Slime – 1968) di Kinji Fukasaku, grande regista nipponico di yakuza movie. La pellicola, a tratti involontariamente esilarante, ci presenta una fanghiglia verde, trasportata inavvertitamente nella base spaziale da un astronauta, che infesterà tutta la stazione generando delle bizzarre creature tentacolate con un solo occhio che si alimentano di energia elettrica. Alla fine uno dei protagonisti si dovrà sacrificare per permettere la distruzione dei mostri e la salvezza dei membri dell’equipaggio superstiti e della Terra.

Il fango verde – 1968

 

Life: Non oltrepassare il limite, una variante di Alien

Alcuni spunti del grottesco Fango verde sono presenti anche nel recente Life: Non oltrepassare il limite (2017) diretto da Daniel Espinosa (Child 44, Safe House): anche qui un microrganismo unicellulare alieno cresce rapidamente trasformandosi in una ripugnante creatura tentacolata piuttosto vorace e coriacea da debellare. E quando la situazione si farà disperata uno dei membri dell’equipaggio tenterà di sacrificarsi per evitare il ‘contagio’ sulla Terra dell’aggressiva forma di vita extraterrestre. Naturalmente Life potrebbe essere liquidato semplicemente come un ‘clone’ di Alien di cui ricrea con perizia le atmosfere di cupo orrore e la suspense claustrofobica. E in effetti come film di fantascienza non presenta nulla di nuovo ma si salva come film horror, in quanto riesce a generare tensione e paura fino alla fine, senza annoiare e arrivando a una conclusione beffarda e sufficientemente imprevedibile. Al di là di alcune situazioni prevedibili o improbabili (una certa imprudenza nella ‘gestione’ della nuova forma di vita) e di protagonisti relativamente stereotipati (l’astronauta spaccone e quello più introverso e pessimista, lo scienziato sensibile vittima designata e quello che diventa papà durante la missione, l’eroina femminile tutta d’un pezzo responsabile della sicurezza…), la differenza la fa il ripugnante Calvin (questo è il soprannome del mostro), organismo predatorio e astuto, dedito solo alla (sua) sopravvivenza che si muove con ‘viscida’ naturalezza quando si introduce nelle bocche delle sue vittime per nutrirsene dall’interno. Come accennato poco sopra, nei film di mostri spaziali dalle dinamiche più o meno simili, diventano fondamentali la qualità della regia e degli effetti speciali. Ed Espinosa non ci delude, quando nella scena d’apertura si esibisce in un talentuoso piano sequenza con una passeggiata spaziale in assenza di gravità. Naturalmente film come Gravity o The Martian hanno fatto scuola in questo senso ma il clima angosciante e senza speranza è più vicino a quello di pellicole come Europa Report o Last Days on Mars.

Life

Life è dunque un film essenzialmente spaventoso grazie allo strisciante alieno che riesce a nascondersi negli anfratti della stazione spaziale mostrando di adattarsi rapidamente a tutte le avversità, con alcune concessioni a qualche cliché melodrammatico come la figura dello scienziato paraplegico (Ariyon Bakare) o quella dell’astronauta reduce di guerra, dal carattere solitario e depresso, interpretato da un valido Jake Gyllenhaal. Invece prevedibilmente lo spavaldo astronauta di Ryan Reynolds che per primo tenterà di affrontare la creatura andrà incontro a un’orribile fine. Nulla di nuovo in sintesi ma comunque uno spettacolo godibile confezionato sontuosamente a cui hanno dato un contributo anche l’ottima colonna sonora del compositore Jon Ekstrand e la magnifica fotografia di Seamus McGarvey. La sceneggiatura non concede spazio a momenti leggeri o brillanti; uniche eccezioni una citazione cinefila al film lovecraftiano Reanimator, sinistra anticipazione dell’arrivo del tentacolare e malefico Calvin e l’allegra canzone “Spirit in the sky” mandata sui titoli di coda per accompagnare il finale aperto e beffardo.

Life

 

Regia: Daniel Espinosa
Produzione: USA – Columbia Pictures, Skydance Media, Sony Pictures Entertaiment – durata: 103′
Sceneggiatura: Rhett Reese, Paul Wernick
Fotografia: Seamus McGarvey
Scenografie: Nigel Phelps
Musiche: Jon Ekstrand
Cast: Jake Gyllenhaal, Rebecca Ferguson, Ryan Reynolds, Hiroyuki Sanada, Olga Dihovichnaya, Ariyon Bakare, Alexandre Nguyen, Camiel Warren-Taylor