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Dagon – la mutazione del male (2001)

Come abbiamo visto, negli anni Ottanta e Novanta sono stati Stuart Gordon e Brian Yuzna i più solerti interpreti dell’opera di HPL sul grande schermo. Ormai il nome di Lovecraft è abbastanza conosciuto presso il grande pubblico del cinema horror e fantastico, sempre alla ricerca di sensazioni forti ed effetti splatter sempre più efferati. E con l’arrivo degli anni 2000 Gordon e Yuzna proseguiranno per questa strada consolidata, cercando comunque di restare, per quanto possibile, fedeli e rispettosi del testo letterario. Ma di pari passo, vediamo crescere negli anni l’esigenza, da parte di appassionati di pellicole horror, cultori di HPL, artisti e cineasti indipendenti, di poter vedere e realizzare opere di ispirazione lovecraftiana meno convenzionali e commerciali ma che tengano maggiormente conto di quello che è uno dei fondamenti dell’universo dell’autore: La paura più grande è quella dell’ignoto.
Nel 2001 torna in cabina di regia Stuart Gordon con Dagon – la mutazione del male (Dagon), considerata la più lovecraftiana delle sue opere. Nonostante il titolo richiami uno dei primi racconti di Lovecraft, Dagon del 1917, la sceneggiatura è prevalentemente ispirata al classico La maschera di Innsmouth, ma sposta la vicenda sulle coste della Spagna nel sinistro villaggio di Imboca. Come nel racconto, gli abitanti del villaggio sono dei mutanti, ibridati a vari stadi con creature marine per via di un antico patto stretto con una ripugnante divinità abissale. Gordon questa volta cerca di essere più vicino al testo lovecraftiano. Aderente, almeno nello spirito, è la scena in cui il protagonista, rinchiuso in una stanza d’albergo, cerca di sfuggire agli uomini-pesce. Ovviamente questo tipo di produzione (produce Brian Yuzna con la sua casa Fantastic Factory) non può fare a meno di ricorrere a massicce dosi di splatter e gore, con il solito generoso e piacevole condimento di fanciulle seminude, possibilmente incatenate per essere offerte al mostruoso dio Dagon. Meno azzeccata risulta la caratterizzazione troppo caricaturale del protagonista interpretato da Ezra Godden. Risulta abbastanza suggestiva l’ambientazione spagnola. Ma come già anticipato poc’anzi, è dalle produzioni indipendenti, anche fuori dagli USA, che verranno i contributi più ispirati ed in qualche modo più rispettosi nei confronti di HPL. Dal lontano Cile arriva Chilean Gothic (2000) parzialmente tratto dal racconto Il Modello di Pickman. Nell’odierno Cile un giornalista si mette sulle traccie di un misterioso pittore americano i cui sgradevoli quadri sono in grado di far uscire di senno chi li guarda. Regista di questo interessante mediometraggio low-budget è Ricardo Harrington che ci vuole mostrare un Cile particolarmente ‘gotico’ ed oscuro, ancora traumatizzato dal regno di terrore che ha vissuto realmente il popolo cileno a causa della dittatura. Chilean Gothic è stato premiato dalla giuria dell’ H.P.Lovecraft Film Festival nel 2001. Questo festival è stato fondato a Portland (Oregon) nel 1995 da Andrew Migliore, con lo scopo di promuovere e di dare il giusto riconoscimento all’opera di H.P.Lovecraft, anche per fare in modo che il suo lavoro sia più fedelmente adattato al cinema e alla televisione. Negli anni molti cortometraggi indipendenti sono state presentati presso vari festival, al di fuori dei circuiti tradizionali. Tra i primi addattamenti indipendenti ricordiamo Return to Innsmouth (1999) di Aaron Vanek, che fu realizzato come una continuazione del testo originale (La maschera di Innsmouth), con più della metà dei fondi raccolti attraverso il sito Kickstarter; è stato prodotto da Andrew Migliore e girato completamente a Portland. Molte delle location che appaiono nel corto non esistono più.
Dalla Germania arriva The Haunter of the Dark (2001) (tratto dal racconto L’abitatore del buio): uno scrittore torna alla sua città natale Providence e trova un manufatto inquietante che d’ora in poi gli farà temere l’oscurità più di ogni altra cosa. Il regista esordiente Alessandro Weimer si è posto l’obiettivo di fare un fedele adattamento del lavoro di Lovecraft, ricreando le atmosfere della sua epoca, permeate di un orrore sottile ed impalpabile. Un’altro corto di pregevole fattura è Nyarlathotep (2001) di Cristian Matzke dal racconto omonimo. Eccellente anche l’inquietante colonna sonora. Non direttamente tratto da un racconto è il corto The Lovecraft syndrome (2004) che ci mostra una giovane studentessa, impegnata a studiare le opere del Maestro di Providence, sprofondare sempre più nell’universo oscuro dell’autore in una spirale di follia. Quest’horror psicologico, diretto da David Schmidt, è stato presentato in vari festival e convention tra cui il già citato H.P.Lovecraft Film Festival, la Cthulhu One Convention, e il MistkatoniCon. Un’altra inquietante favola lovecraftiana ci viene raccontata in Dirt Dauber (2009) di Steve Daniels, vincitore del prestigioso ‘Brown Jenkin Award’ come miglior cortometraggio all’H.P.Lovecraft Film Festival del 2009. In una regione montagnosa isolata, due uomini, spinti da dicerie locali, vanno sottoterra alla ricerca di un culto religioso che adora un dio della fertilità simile ad un insetto che si dice dimori nelle profondità della montagna, in un tempio nero.
Il grande sviluppo nell’ultimo ventennio nel campo dell’elettronica di consumo (videocamere digitali, computer più potenti, software per la grafica) ha fatto sì che sempre un maggior numero di aspiranti cineasti potesse realizzare opere in proprio, con pochi mezzi, ma diffuse facilmente via internet. E ovviamente, anche Lovecraft, così incompreso e travisato dal cinema commerciale, ha visto aumentare le trasposizioni ‘fai da te’ di suoi racconti, realizzati con tecniche di computer grafica e CGI (computer-generated imagery). Tra i corti d’animazione più interessanti citiamo The Shadow Over Innsmouth (2009) di Joseph Kwong. Questa rivisitazione del classico omonimo racconto è stata realizzata con animazioni al computer, e proiettata in numerosi festival negli Stati Uniti e in Europa, aggiudicandosi svariati premi. Per farsi un’idea in questo ambito della vasta produzione indipendente dedicata ad HPL basta dare un’occhiata su youtube.

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Pickman’s Muse (2010)

Tornando al grande schermo e alla televisione, Stuart Gordon si conferma ancora tra i più fedeli traspositori dell’opera di HPL, quando dirige nel 2005 La casa delle streghe (Dreams in the Witch House) per la serie di lungometraggi televisivi Masters of Horror, prodotti della statunitense Showtime. Questa volta si tratta di una trasposizione azzeccata del racconto I sogni della casa stregata, (a differenza del precedente Black Horror – Le messe nere), con Ezra Godden ancora protagonista, come in Dagon. Per adattare meglio il racconto alla durata del lungometraggio, sono state aggiunti personaggi e storie secondarie. Comunque non manca la sgradevole presenza di Brown Jenkin, il mostruoso ibrido uomo-topo al servizio della malefica strega. Il più gore dei racconti lovecraftiani, Aria Fredda, viene molto liberamente adattato da Serge Rodnunsky in Chill (2007). In questa disturbante pellicola vediamo un sadico dottore che riesce a vivere anche ‘da morto’, grazie a trapianti di pelle (prelevata da donatori non consenzienti) e a temperature molto rigide. Rispettoso della visione artistica lovecraftiana ma al contempo innovatore, vuole essere il film low-budget Cthulhu (2007), tratto liberamente da La maschera di Innsmouth. L’ambientazione della storia è spostata dal New England al nord-ovest del Pacifico. Il film vede protagonista un giovane professore universitario che, dopo la morte della madre, ritorna nella sua città natale in Oregon e trova sia suo padre che la comunità dediti ad uno strano culto New Age dai risvolti apocalittici. Ma gli autori del film (Dan Gildark e Grant Cogswell) hanno fatto una rielaborazione contemporanea del racconto, mettendo in scena un protagonista gay che rimane coinvolto in una relazione con il suo miglior amico. I due autori hanno voluto spiegare questa loro rilettura del racconto come una metafora del disagio affrontato da una persona omosessuale che ritorna a casa per il funerale di un parente e si trova a dover affrontare gli orrori della vita di provincia presso una comunità chiusa ed ostile. Comunque, a parte questo aspetto ovviamente poco lovecraftiano, il film ha le giuste atmosfere cupe e misteriose e si avvale di discreti effetti speciali di fattura artigianale.
Il titolo di campioni dell’ortodossia lovecraftiana spetta però alla Howard Phillips Lovecraft Historical Society (HPLHS in breve), un’agguerrita associazione di appassionati di Lovecraft; oltre ad organizzare incontri e produrre gadget e libri in tiratura limitata, la HPLHS ha il grande merito di aver realizzato due film che si elevano dalla massa delle tipiche produzioni amatoriali dei fan, per qualità tecnica ed originalità. Si tratta di The Call of Cthulhu e The Whisperer in the Darkness, rispettivamente un mediometraggio il primo e un lungometraggio il secondo. The Call of Cthulhu del 2006 ricalca fedelmente il famoso racconto ed è stato realizzato nello stile di un classico film muto degli anni Venti, con una colonna sonora sinfonica originale ed inquietante. Utilizzando un procedimento chiamato Mythoscope, un mix di tecniche moderne e d’epoca, la HPLHS ha lavorato per creare l’adattamento cinematografico più autentico e fedele di un racconto di Lovecraft mai tentato. La trovata geniale consiste nel fatto di essere riusciti a trasporre in modo efficace, senza scadere nel ridicolo, gli orridi e putrescenti scenari descritti con magniloquenza da Lovecraft, ispirandosi alle scenografie di vecchi capolavori del fantastico espressionista come Nosferatu di Murnau e Il Gabinetto del dottor Caligari. Compatibilmente con i pochi mezzi disponibili, si è riusciti a ricreare l’immane città da incubo di R’lyeh in maniera esteticamente valida, facendo ricorso a scenografie di cartone dalle prospettive sghembe e distorte, secondo le geometrie ‘non euclidee’ care a Lovecraft. Economici ma ingegnosi sono gli effetti in stop-motion usati per animare il Grande Cthulhu. Se in The Call of Cthulhu la scelta artistica di realizzare un film muto di impostazione teatrale era anche condizionata dal budget ridotto, con The Whisperer in the Darkness (2011) viene fatto un ulteriore passo avanti con un livello produttivo più elevato. Tratto dal capolavoro fanta-horror Colui che sussurrava nelle tenebre (scritto nel 1930 e prima d’ora mai portato sullo schermo), anche questa seconda produzione della HPLHS ricorre al raffinato espediente di realizzare un film ‘vintage’, in perfetto stile anni Trenta/Quaranta, omaggiando i classici sci-fi/horror della Universal. Ancora una volta viene utilizzato il processo Mythoscope per ricreare in modo efficace il cupo universo lovecraftiano, collocato nella stessa epoca in cui è stato scritto il racconto. Il senso di orrore cosmico portato sullo schermo funziona a dovere e non ci sono concessioni all’ironia o al burlesco, elementi che invece affliggono tante altre trasposizioni lovecraftiane amatoriali o meno. I trucchi di fattura artigianale sono coerenti con un film che sembra realizzato negli anni ’40. Il film si espande sul racconto originale di Lovecraft nella giusta misura senza operare stravolgimenti inopportuni e gli interpreti sono professionisti all’altezza; Matt Foyer nella parte dell’intrepido studioso di folklore Albert Wilmarth e Barry Lynch (apprezzato attore televisivo e teatrale) nella parte di Henry Akeley. Gli esterni sono stati girati in New England e ad Hollywood.
Nel 2009 arriva un’altra riduzione televisiva, The Dunwich Horror di Leigh Scott tratto dall’omonimo racconto già portato sullo schermo con Le vergini di Dunwich nel 1970. Il tentativo di fare un adattamento migliore con una maggiore aderenza al racconto originale e con numerosi rimandi ad HPL viene in parte vanificato da una qualità troppo ‘televisiva’ delle immagini, dalla regia scialba e dall’inserimento di una coppia di innamorati come protagonisti. Tra gli attori si segnala l’eroe della serie Re-Animator, Jeffrey Combs e soprattutto Dean Stockwell, caratterista di una certa classe, curiosamente già presente come protagonista negativo de Le vergini di Dunwich. Dalla Germania è da segnalare Die Farbe (2010) di Huan Vu, regista tedesco di origine vietnamita. Girato tra primavera e l’estate del 2008, Die Farbe (letteralmente “il colore”) costituisce un’ulteriore trasposizione del racconto Il colore venuto dallo spazio, dopo La morte dall’occhio di cristallo (1965) e La fattoria maledetta (1987). In questo adattamento piuttosto libero del capolavoro di HPL l’ambientazione è spostata in Germania nelle tetre foreste della Svevia-Franconia dove un uomo, Jonathan Davis proveniente da Arkham, è alla ricerca del padre scomparso, che era di stanza in quei luoghi dopo la seconda guerra mondiale. Jonathan si propone di trovarlo e riportarlo a casa, ma nel profondo del bosco scopre un oscuro mistero del passato. Essendo una produzione indipendente con pochi mezzi a disposizione, il film fa leva abilmente su un orrore più evocato che mostrato. La suspense cresce lentamente ma inesorabilmente e la suggestiva fotografia in bianco e nero rende con efficacia i cupi e desolati scenari dei boschi germanici. Buoni gli effetti speciali ma Huan Vu evita saggiamente di seguire l’inflazionata via dello splatter e dell’exploitation, privilegiando invece il senso del mistero. Un’altro adattamento notevole, che può riservare qualche piacevole sorpresa ai fan di HPL, è Pickman’s Muse (2010) ispirato al racconto L’abitatore del buio. Un artista, di nome Robert Pickman, diventa ossessionato da visioni di orrore ultraterreno, dopo aver ritrovato un antico manufatto scoperto in una chiesa abbandonata. Nonostante il titolo, come capita spesso, non corrisponda al racconto da cui è effettivamente tratto il film (a parte la presenza di un pittore di nome Pickman come nel racconto Il modello di Pickman – 1926), Pickman’s Muse è uno dei film più seri, cupi e inquietanti legati a Lovecraft, degli ultimi anni. In realtà questa produzione ‘indie’ può essere considerata un sequel del racconto lovecraftiano L’abitatore del buio. Infatti nel film ritroviamo la malefica Chiesa di Starry Wisdom, ancora esistente ai nostri giorni, emanare la sua influenza nefasta su persone sensibili e vulnerabili come il pittore Pickman che si troverà a mettere su tela le orribili visioni da cui è afflitto. Il film giunge al culmine in modo adeguatamente lovecraftiano e la recitazione è sorprendentemente buona, soprattutto la prova di Barret Walz nel ruolo dell’artista depresso che scivola verso la follia. Per quanto riguarda il regista Robert Cappelletto, dimostra non solo di essere competente in materia, ma anche di possedere una profonda comprensione su come ‘funziona’ l’orrore cosmico di Lovecraft. Mancano qui creature tentacolate e libri blasfemi ma dominano le atmosfere di orrore ineluttabile. Pickman’s Muse ha riscosso vari premi come il ‘Miglior Adattamento’ all’ H.P. Lovecraft Film Festival e la ‘Miglior Sceneggiatura’ al Chicago Horror Film Festival. Tra le numerose pellicole che più o meno vagamente hanno attinto negli ultimi anni al ricco universo di HPL ricordiamo solamente il semisconosciuto film francese Atomik Circus: Le retour di James Battaille (2004) in cui una razza aliena di creature tentacolate conosciuta come Shub-Niggurath terrorizza un piccolo paese; questo filmetto divertente dai toni grotteschi e leggeri che miscela azione, splatter e commedia, annovera nel cast, come protagonista femminile, la graziosa cantante Vanessa Paradis che non esita ad esibire le sue qualità canore

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The Whisperer in the Darkness (2011)

Un discorso a parte merita l’Italia che ha attualmente un mercato del cinema fantastico, in particolare horror, che brilla per la sua pochezza sia a livello produttivo che distributivo. Anche gran parte dei film stranieri sopracitati non sono mai stati distribuiti nel nostro paese e sono di difficile reperibilità. Finiti i tempi delle grandi presenze come Lucio Fulci, Joe D’Amato e Mario Bava, in pochi si sono cimentati nell’horror in generale e tantomeno in quello di ispirazione lovecraftiana. In precedenza nessuno dei grandi autori dell’horror italiano si era ispirato direttamente ad HPL, anche se atmosfere in qualche modo lovecraftiane possono essere ravvisate in una delle prime opere di genere fantastico made in Italy come il fanta-horror Caltiki, il mostro immortale (1959) di Riccardo Freda e Mario Bava, anche autore degli effetti speciali. La primordiale ed informe creatura unicellulare presente nel film, (adorata in passato come una divinità ed implicata nella scomparsa della civiltà Maya) richiama a tratti le ancestrali e mostruose divinità uscite dalla penna dell’autore di Providence. Ma bisogna aspettare anni più recenti perché qualche coraggioso film-maker indipendente cominciasse ad interessarsi al soprannaturale indicibile, presente nell’opera di Lovecraft, e a come portarlo sullo schermo con la dovuta efficacia ed originalità. Un’opera poco conosciuta che sembra trarre ispirazione dal fantastico alla Lovecraft è Dark Waters (1994) del regista napoletano Mariano Baino dove alcune monache compiono oscuri rituali in un’isola remota del Mar Nero, dedicati ad una mostruosa entità primordiale che esige sacrifici a base di carne umana. Il film in parte ricalca il Dario Argento di Suspiria ma poi prosegue con un suo stile autonomo e ben definito che ne allarga gli orizzonti orrorifici. Purtroppo di Baino si sono perse le traccie, non avendo trovato la sua opera uno sbocco adeguato nel nostro asfittico cinema di genere. Fortunatamente anche in Italia c’è chi è riuscito a guadagnarsi con grande passione e professionalità uno spazio e una reputazione come valido interprete delle tematiche lovecraftiane al cinema: parliamo di Ivan Zuccon (1972), cineasta indipendente grande estimatore e conoscitore dell’opera di HPL, che fin dagli inizi della sua carriera, insieme allo sceneggiatore Ivo Gazzarrini ha attinto a piene mani dall’immaginario lovecraftiano, ambientando in un contesto contemporaneo una serie di pellicole cupe e spettrali. Per sfuggire alle ristrettezze del mercato nostrano molte sue pellicole nascono in lingua inglese per essere distribuite all’estero. Zuccon ben comprende e condivide ‘la paura dell’ignoto’, motore dell’horror evocativo lovecraftiano, ma non sfugge all’influenza di Lucio Fulci, indiscusso maestro del gore e dello splatter italiano. Dopo essersi fatto le ossa con vari film e cortometraggi horror girati in Super 8 e poi in video, Zuccon si lancia nell’orrore cosmico con due opere profondamente impregnate della magia dei racconti di Lovecraft: L’Altrove (2000) e Maelstrom – il figlio dell’Altrove (2001), ambientati in un indefinito scenario apocalittico dove alcuni coraggiosi soldati devono combattere contro i Grandi Antichi e i loro servitori anch’essi umani che vogliono renderli schiavi. Pur risentendo dei difetti tipici delle opere prime, come una narrazione non sempre scorrevole ed inevitabili limiti di budget, L’Altrove ed il suo seguito mettono in luce un’eccellente qualità e originalità dell’invenzione visiva. I crudi e ben realizzati effetti splatter (feti estirpati, bagni di sangue, cervelli spappolati…) in questo caso sono abbastanza funzionali alla storia ambientata in scenari onirici e surreali che ricordano i desolati ‘panorami’ che fanno da sfondo a tanti racconti di Lovecraft. Se qualcuno comunque potrebbe trovare questi due film eccessivamente truci e ‘notturni’ e con qualche lungaggine di troppo, Zuccon nel successivo La casa sfuggita (2003) (conosciuto anche con il titolo inglese di The Shunned House) esibisce una regia più scorrevole e sicura e una maggiore aderenza ai racconti di HPL, per la gioia dei fan più tradizionalisti. Il film è basato su tre racconti di Lovecraft, La casa sfuggita, La musica di Erich Zahn e principalmente I sogni della casa stregata, ed è strutturato in più episodi ambientati in una vecchia casa del Polesine in differenti epoche. L’intreccio complesso delle varie storie e il ricorso frequente a flashback e scene oniriche possono generare qualche confusione nello spettatore ma al di là della trama il punto di forza è costituito dal forte impatto visivo delle immagini, dovuto anche alla raffinata fotografia dello stesso Zuccon e agli apprezzabili effetti speciali di Massimo Storari. Dopo un intermezzo di qualche anno speso nella realizzazione di horror efferati ma più convenzionali, Zuccon torna ad ispirarsi direttamente a Lovecraft nel 2009 con Colour from the dark – Il colore del male, chiaramente un altro adattamento del racconto Il colore venuto dallo spazio. Girato direttamente in inglese ed ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, il film si svolge in una piccola fattoria del ferrarese, dove vivono Pietro, sua moglie Lucia e la sorella Alice. Improvvisamente, un’entità malefica esce da un pozzo sotto forma di una luce aliena proveniente dalle profondità della terra e si imposessa di Lucia. Anche se la minaccia non proviene dagli spazi siderali, come nel racconto, ma dal sottosuolo, alla fine assisteremo ugualmente ad un progressiva degenarazione dell’ambiente e dei protagonisti che muteranno sia fisicamente che interiormente. Ancora una volta si segnalano l’ottima fotografia e gli effetti speciali, che in qualche modo omaggiano il classico L’esorcista (1973) di William Friedkin; come sempre Zuccon mette molta carne al fuoco e ci sommerge con visioni macabre ed inquietanti che danno alla storia un’impronta fosca e senza speranza, che probabilmente non sarebbe dispiaciuta a HPL. Colour from the dark ha vinto negli Usa il premio come Miglior Film all’H.P. Lovecraft Film Festival 2010.

Colour From The Dark

Colour From The Dark (2009)

Misteri insondabili, culti arcaici e sanguinari, degenarazioni fisiche e mentali sono presenti anche nel film Custodes Bestiae (2004) del regista friulano Lorenzo Bianchini. Soprattutto il finale da incubo che vede il protagonista inseguito da esseri deformi per le vie di un diroccato e sperduto paesino del Friuli non può non richiamare alla memoria La maschera di Innsmouth. Regista interessante e fuori dal ‘coro’, Bianchini predilige rappresentare un orrore molto metafisico ed evocativo con storie ambientate in un Friuli rurale ed arcaico che lo avvicinano almeno in parte, magari non volutamente, alla visione soprannaturale lovecraftiana. La sua ultima opera Oltre il guado (2013), ambientata in un borgo abbandonato nelle foreste friulane ai confini con la Slovenia, si è aggiudicata il Pipistrello d’Oro come Miglior Film Italiano al Fantafestival 2014 di Roma. A dimostrazione che il nome e la ‘leggenda’ di Lovecraft sono ben vivi anche in Italia, seppur rigorosamente al di fuori dei canonici canali cinematografici commerciali, segnaliamo per ultimo il film Il mistero di Lovecraft – Road to L. (2005), girato in stile mockumentary (cioè falso documentario) da Federico Greco e Roberto Leggio. In questo ingegnoso docufilm si ipotizza su un viaggio compiuto da Lovecraft nel 1926 in Italia attraverso il Delta del Po, partito alla ricerca di ispirazione tratta dagli oscuri racconti popolari locali (I Racconti del Filò). Ai giorni nostri una troupe internazionale di film-makers, venuti in possesso di un manoscritto forse scritto dallo stesso HPL come resoconto del suo viaggio, si mette sulle traccie di uno studente di tradizioni popolari scomparso alcuni anni prima mentre indagava su un possibile legame tra i racconti di HPL e le strane leggende locali su un’antica razza di creature anfibie che vivrebbero nelle limacciose acque del Po. Ma il paesino di Loreo, dove ha fatto base la troupe, si rivelerà molto somigliante alla sinistra Innsmouth di Lovecraft… Road to L. (dove ‘L.’ sta per Loreo), definito come ‘il primo mockumentary italiano’ (anche se in verità il primato spetterebbe al famigerato Cannibal Holocaust), è un riuscito ed originale film alla ‘Lovecraft’ dove reale ed irreale si confondono continuamente, spiazzando lo spettatore che magari non si aspetta che il nostro paese possa fare da sfondo a vicende misteriose e paurose.
Abbiamo visto che la rappresentazione dell’indicibile lovecraftiano, non solo in Italia, è diventata quasi esclusivo appannaggio di produzioni indipendenti e di registi più o meno underground (come Ivan Zuccon). Del resto quando HPL era ancora in vita, diffondeva le sue opere tramite piccole ed oscure riviste amatoriali, senza le quali oggi non sapremmo nulla del Solitario di Providence. Invece continua a mancare per le grandi produzioni il film ‘definitivo’ tratto da Lovecraft, magari ad opera di registi illustri come nel caso di Stephen King con il capolavoro Shining di Kubrick. Indubbiamente i grandi progressi registrati nel campo degli effetti speciali hanno permesso di portare sugli schermi con efficacia tutta una serie di titaniche ed orrende creature che in qualche modo richiamano (e scimmiottano) i Grandi Antichi di Lovecraft, seppur inseriti nei banali contesti delle produzioni ‘blockbuster’, (un esempio su tutti Pacific Rim). A dire il vero si è parlato negli ultimi anni di un ambizioso progetto del regista Guillermo Del Toro che da tempo culla l’idea di portare sullo schermo il romanzo Alle Montagne Della Follia, pubblicato nel 1936 e sicuramente una delle più lunghe ed articolate creazioni narrative di Lovecraft. Finora Del Toro non ha avuto il via libera dalla casa produttrice Legendary Pictures per iniziare le riprese. Il progetto è stato bocciato una prima volta nel 2011 dalla Universal, ma ora si sta cercando di capire come riuscire a rendere il film il più terrificante possibile nonostante le “restrizioni” del rating con cui devono fare i conti le grandi produzioni hollywoodiane.
Prima di chiudere questa panoramica sulle trasposizioni cinematografiche lovecraftiane, è interessante almeno fare un accenno su opinioni e preferenze personali di Lovecraft in fatto di cinema. Lovecraft, uomo schivo e solitario, ci ha lasciato diverse pagine dal suo fitto epistolario in cui traspare una considerazione abbastanza scarsa per il cinema del suo tempo: riservò sferzanti critiche a vari classici dell’horror come The Bat, Frankenstein, Il Golem; durante la visione del primo Dracula con Bela Lugosi del 1931 sostiene addirittura di essere uscito dalla sala prima della fine. Un giudizio più positivo meritò invece L’uomo invisibile di James Whale. Evidentemente Lovecraft aveva già intuito la potenziale incomunicabilità tra il cinema horror e la sua visione del soprannaturale. D’altrocanto fu un grande estimatore di Charlie Chaplin a cui dedicò un poema nel 1915. Secondo Darrell Schweitzer, uno dei maggiori esperti in materia lovecraftiana, uno dei pochi film che HPL amava veramente era La strana realtà di Peter Standish (1933) che racconta la storia di un giovane americano che viaggia nel tempo fino alla Londra dell’epoca della Guerra di indipendenza americana, dove incontra i suoi antenati. Lovecraft rivide la pellicola per ben quattro volte e pur trattandosi di una commedia fantasy, non esitò a trarne ispirazione per la creazione del racconto L’ombra venuta dal tempo, scritto tra il 1934 e il 1935. Forse Lovecraft amava immedesimarsi nel protagonista del film, che come lui, è un giovane erudito e introverso che vive fuori dal suo tempo.
Sicuramente il cinema fantastico continuerà ad attingere ancora in vari modi ad HPL ma è ormai assodato che le realtà da incubo e le entità esecrande e mostruose che le abitano, descritte con tanta perizia dalla sua prosa inconfondibile, rischiano di perdere il loro fascino oscuro se vengono esposte al cinema in modo eccessivo o inappropriato.


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