« In una mitica terra, in un’epoca dominata dalla magia, il destino di un grande regno poggia sulle spalle di un giovane. Il suo nome: Merlino. »
Il mito di Re Artù, di Merlino e della Tavola Rotonda rivive nella serie britannica Merlin, realizzata dalla società indipendente Shine Limited di Elisabeth Murdoch e trasmessa dal 2008 al 2012 dalla BBC. Gli autori scelgono di reinterpretare le leggende, a partire proprio dalla figura del più celebre stregone, Merlino. Invece di un attore maturo adatto a vestire i panni di un vecchio dalla lunga barba bianca troviamo il giovane Colin Morgan. Il Merlino da lui impersonato è un giovane mago giunto a corte insieme al suo precettore, il medico Gaius. Suo compito è proteggere il coetaneo Artù; purtroppo il re Uther ha vietato l’uso della magia nel suo reame, e il povero ragazzo si trova a dover nascondere i suoi reali poteri a tutti, pena venir condannato a morte. Le avventure vissute a corte sono contraddistinte dal dover mantenere questa ‘identità segreta’ in un mondo popolato da stirpi fatate, tra pericoli d’ogni genere.
Merlin deve sopravvivere e aiutare il futuro sire senza mai tradirsi, ed è inesperto e impacciato poiché è costretto a cavarsela come un qualsiasi scudiero. Artù, interpretato dall’altrettanto acerbo Bradley James, è un adolescente fin troppo consapevole della sua condizione privilegiata, si dimostra arrogante e ottuso, e molto avventato. Quando si mette nei guai fa appello al potere esercitato dal padre, piuttosto che assumersi le proprie responsabilità, e tratta Merlino come un qualsiasi servitore. L’amicizia che si instaura tra i due improbabili eroi cresce insieme a loro, si evolve dal rapporto di sudditanza ad un legame tra pari. Attorno alle vicende del mago e del futuro re ruotano altri personaggi, alcuni inventati per l’occasione, altri tratti dalla tradizione ma trasformati tanto da risultare irriconoscibili. Su tutti, Gwen e la bellissima Morgana. La popolana Gwen è destinata a rapire il cuore di Artù e divenire la ‘sua’ Ginevra, e di certo non è l’eterea nobildonna che ci hanno fatto amare i romanzi cavallereschi. Anche Morgana ha poco da spartire con l’avversaria di Merlino cantata dai menestrelli, e Lancillotto fa una fine assai diversa da quella voluta dalla tradizione. D’altronde anche la Britannia sembra un reame fantasy privo di connotazioni geografiche precise, e le creature affrontate dai Cavalieri provengono non soltanto dal patrimonio culturale celtico…
Resta davvero poco delle ballate medievali o dei romanzi scritti per intrattenere le corti rinascimentali, e le intenzioni degli autori sono esplicite fin dai primi fotogrammi. Accettati i presupposti, il maggior pregio della serie è l’aver fuso generi apparentemente inconciliabili, e quasi tutte le scelte narrative sono coerenti con questo intento. Come in Hercules e nel suo spin off Xena, le avventure autoconclusive si inseriscono in un intreccio a largo respiro, l’estetica è caratterizzata da costumi variopinti vagamente ispirati al Medioevo. Non c’è alcuna pretesa di rievocare l’epoca presunta in cui si sarebbe vissuto re Artù, o di concretizzare in immagini raffinate i versi dei poemi cinquecenteschi. Di certo le semplici cotte di maglia e gli abiti diffusi prima dell’anno Mille sarebbero risultati poco appariscenti, mentre le armature da giostra elaborate e costumi sfarzosi avrebbero richiesto mezzi ben lontani da quelli a disposizione di una produzione televisiva. Sembra piuttosto di assistere a una festa medievale allestita con mezzi decorosi e uno sguardo attento al gusto di un pubblico poco acculturato, almeno dal punto di vista storico. La scelta non dovrebbe comunque scandalizzare, poiché è un tradimento meno grave di quanto verrebbe da credere. Già nel basso Medioevo i menestrelli proponevano le leggende variandole a seconda del tipo di pubblico che si trovavano ad intrattenere. I narratori di oggi si rivolgono prevalentemente ad uno spettatore giovane, forse digiuno di storia e letteratura però cresciuto tra videogiochi e oggettistica fantasy. Messo al bando ogni intellettualismo, ogni pretesa di ricostruire se non l’epoca presunta delle gesta almeno il gusto delle corti cinquecentesche, tutte le scelte narrative convergono verso l’obiettivo di riproporre il mito adeguandolo alla sensibilità di oggi. l linguaggio adoperato è quello adatto ai giovani e i protagonisti sono adolescenti, volti freschi attorniati da caratteristi di solida esperienza.
Gli effetti speciali danno vita a un universo colorato e di facile impatto visivo. Le vicende epiche sono narrate ricorrendo a tutto il repertorio di situazioni e personaggi tipici dalle serie per teenager, illuminate da trovate umoristiche, da un pizzico di romanticismo e da un’ambientazione ricca di magia.
Le avventure di Merlino possono quindi risultare avvincenti, se viste in questa diversa prospettiva e fino a quando la sceneggiatura compie scelte coerenti con la nuova versione dei fatti, il telefilm funziona e risulta gradevole anche per gli adulti più disincantati. E’ un po’ come vedere La Spada nella Roccia, film d’animazione che addolcisce gli eventi e si limita a narrare l’ascesa del piccolo eroe destinato ad estrarre Excalibur e divenire Re. I tradimenti apportati alla leggenda sono in questo caso accettabili perché la platea è consapevole di assistere ad uno spettacolo rivolto alle famiglie e non pretende di seguire tutta la parabola di Camelot e dei suoi eroi, fino alla malinconica caduta.
Lo stesso atteggiamento è richiesto dalla serie Merlin, capace comunque di suscitare qualche riflessione matura. Tra effetti speciali non sempre all’altezza e costumi fantasiosi, emergono temi tipici del nostro mondo. La doppia vita di Merlino può essere paragonata a quella dei super eroi, o a quella di un gay costretto a nascondere le proprie tendenze. In quasi ogni episodio Merlino ricorre ai suoi poteri, eppure nessuno sembra rendersi conto dell’origine di tanti prodigi. La trovata può sembrare ingenua, però è finalizzata allo svolgersi delle vicende e lascia spazio a un briciolo di introspezione. Merlino e Artù maturano nel corso degli episodi, e il coming out finale rappresenta il culmine del loro legame d’amicizia. Superata l’iniziale delusione, i due finalmente possono guardarsi alla pari, uno potente Re, l’altro impareggiabile stregone. La possibilità di un legame omosessuale viene scongiurata grazie alla presenza di Gwen; la presenza del personaggio rassicura le platee familiari, e viene incontro al modo di sentire contemporaneo. E’ una serva di colore, e grazie al suo buonsenso si eleva dalla propria condizione umile, fino a divenire Regina di un’Albione pacificata.
Una parte degli episodi segue il vecchio adagio del ‘mostro della settimana’ ovvero ci sono storie autoconclusive, ben sfruttate per definire il carattere dei protagonisti o per affrontare temi filosofici, come il valore dell’amicizia, il senso della vita, la ricerca dell’immortalità, il valore delle promesse, la difficoltà del crescere e il prezzo del potere. Sono temi importanti, e affiorano proprio in questi episodi che magari verrebbe da sottovalutare per l’apparente leggerezza.
Solo alcune puntate fanno avanzare la vicenda in senso cronologico, fino all’epilogo, che invece di rivoluzionario ha ben poco. In mezzo a tante innovazioni, la sceneggiatura alla fine sceglie di rispettare quanto gli scrittori del passato ci hanno tramandato. Se volete un lieto fine, questo dipende, naturalmente, da dove interrompete la vostra storia, diceva Orson Welles, e l’adagio vale per il film d’animazione La Spada nella Roccia. A Disney era bastato far calare un bel The End dopo l’incoronazione di Artù, e nessuno poteva lamentarsi o attendersi un sequel che smentisse l’adagio ‘e vissero felici e contenti’. Il caso di Merlin è radicalmente diverso, perché ben altre sono le aspettative create negli spettatori. La serie inizia come una commedia per teenager, e mantiene le atmosfere spensierate dell’intrattenimento per quella fascia di età fino alla quarta stagione, quando assume toni più cupi che contrastano con l’ottimismo di quanto era stato fin allora narrato.
La conclusione della quinta stagione pare tradire tutte le premesse e riporta ogni trasgressione nei binari della tradizione. Per quattro anni ci sono stati svariati momenti drammatici diluiti sapientemente nell’intreccio, sempre bilanciati da pause comiche e da momenti giustamente epici. Gli intrecci magari potevano risultare un po’ ripetitivi, però erano sostenuti dall’evoluzione del rapporto tra Artù e Merlino, ed anche gli altri personaggi godevano di una bella caratterizzazione. Difficilmente le serie televisive protratte per molte stagioni riescono a mantenere alta la qualità degli intrecci, soprattutto se sviluppano gli episodi di stagione in stagione e non nascono con una trama ben definita, da rimpolpare magari con sottotrame se il successo arride o da sintetizzare se il gradimento lascia a desiderare. In Merlin purtroppo il cambiamento di rotta giunge inaspettato e giustamente i fan si sono risentiti, perché stravolge completamente lo spirito ottimista del telefilm. Lo spettatore non sa se è ‘giusto’ quanto gli è stato fin ora narrato e quindi il finale è stonato, oppure se la conclusione è quella che dovevano attendersi e quello che hanno visto fino ad allora è stato solo un gioco. La coerenza narrativa si smarrisce, perché come ci insegna King in Misery non deve morire, un buon finale non è necessariamente un lieto fine quanto piuttosto è un epilogo che rispetta la narrazione che ha alle spalle, il carattere dei personaggi e l’atmosfera fino ad allora costruita. Quella conclusione sembra essere stato appiccicata al resto delle avventure, magari per l’esigenza di concluderle a causa di un calo di audience. E’ un peccato, perché il serial poteva davvero essere rivoluzionario fino ai titoli di coda.
Trailer
Semplicemente stupendo!!!
Vogliamo la sesta stagione!!!
Grazieee..