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Avevamo già messo in evidenza nella recensione dell’episodio pilota, le notevoli aspettative e i potenziali sviluppi che si erano venuti a creare con l’ambiziosa trasposizione del romanzo di Dick sul piccolo schermo. Ora possiamo dire che dopo la prima stagione l’obiettivo è stato in gran parte centrato, anche se la vicenda è ben lungi dall’essere conclusa, anzi dove il romanzo finisce, la serie TV comincia a decollare. Ma proprio ora forse potrebbe venire il difficile…
Lo sfondo fantastorico e le atmosfere cupe e oppressive sono rimaste essenzialmente quelle del romanzo La svastica sul sole ma ovviamente la storia ha dovuto svilupparsi verso una direzione che risultasse avvincente e interessante per il pubblico di una serie televisiva. La letteratura ucronica o fantastorica vanta ormai una discreta tradizione e fin dall’antichità alcuni autori hanno teorizzato su vicende nelle quali la storia del mondo seguiva un corso alternativo rispetto a quello reale. Già lo storico romano Tito Livio si dilettò ad ipotizzare sulle conseguenze di un possibile scontro tra Alessandro Magno e la nascente potenza di Roma nella sua opera Ab Urbe Condita.

Prima che nel 2014 Amazon acquistasse la serie, la trasposizione del romanzo di Dick fu tentata in precedenza dalla BBC (2010) e da Syfy (2013) che progettava una miniserie in 4 episodi. Poi nel progetto subentrò Amazon che ordinò, dopo il gradimento ottenuto dall’episodio pilota, una prima stagione completa di 10 episodi con Ridley Scott e Frank Spotnitz in veste di produttori esecutivi. Spotnitz, meglio conosciuto per il suo lavoro di sceneggiatore nella serie televisiva X-Files, ha curato anche l’adattamento per la TV di The Man in the High Castle. L’accattivante spunto offerto dal romanzo non è sufficiente a sostenere un’intera serie televisiva, in quanto si tratta di una storia senza un filo conduttore preciso, (volutamente) frammentaria e priva di un finale vero e proprio. Infatti l’opera di Dick è essenzialmente un angosciante ed evocativo affresco sugli effetti del nazismo e del razzismo sulla vita di un paese, dove gli sviluppi narrativi passano in qualche modo in secondo piano di fronte agli aspetti più simbolici. Ma va dato atto a Spotnitz di essere riuscito a non snaturare lo spirito del romanzo con un banale action televisivo, ricreandone l’originale scenario in maniera convincente: i domini in USA del Giappone imperiale e della Germania nazista sono ‘sinistramente’ realistici, pur nelle loro differenze, e la fotografia dai toni cupi contribuisce a dare le giuste atmosfere a questi anni ’60 alternativi, che in parte sembrano conservare alcune caratteristiche di quelli da noi conosciuti. Singolare ma interessante anche la scelta di aver immaginato uno sviluppo tecnologico diverso tra l’impero del Sol Levante e il domino del Reich che risulta più avanzato.

The man in the high castle

Il cambiamento più azzeccato operato nella serie TV, rispetto al libro di Dick, è quello di sostituire il fantomatico romanzo di storia alternativa ‘La cavalletta non si alzerà più’ con una serie di filmati di ignota origine che non solo ci mostrano cinegiornali dove gli Alleati sembrano aver trionfato sulle forze dell’Asse ma anche spezzoni di riprese che riguardano gli stessi protagonisti della storia le cui potenziali implicazioni sono ancora ben lontane dall’essere chiarite alla fine della prima stagione. Per ora gli intrecci spionistici e fanta-politici e le relazioni tra i vari personaggi – vedi il complicato ‘triangolo’ tra Frank (Rupert Evans), Juliana (Alexa Davalos) e Joe (Luke Kleintank) – hanno prevalso sull’elemento propriamente fantastico/fantascientifico che però rimane sullo sfondo pronto a dispiegare tutto il suo potenziale immaginifico nelle prossime puntate. C’è già più di un indizio che farebbe pensare a sviluppi inerenti a mondi paralleli e realtà alternative in stile Fringe, ma staremo a vedere.
Gli episodi iniziali e soprattutto le vicende dei ‘buoni’ non risultano troppo coinvolgenti e talvolta girano un po’ a vuoto, perse dietro la farraginosa ricerca delle misteriose bobine. Ma, pur procedendo a ‘sbalzi’, la serie prende quota nel proseguo, grazie soprattutto allo sviluppo dei personaggi ‘cattivi’ (nazisti e nipponici) che danno ritmo e intensità drammatica alla storia. Questi antagonisti al servizio degli occupanti – l’Obergruppenfuhrer John Smith (Rufus Sewell) e il Capo Ispettore Kido (Joel de la Fuente) – non sono figure stereotipate ma personaggi di spessore non presenti nel romanzo. Smith sembra essere il classico nazista efficiente e spietato nella repressione della dissidenza ma quando scopre che suo figlio è affetto da un male incurabile, la sua granitica fedeltà verso un regime che elimina i più deboli e i malati potrebbe vacillare. Anche l’ispettore Kido, capo della Kempeitai, è un inflessibile servitore dell’Impero del Sol Levante, ma si dimostra pronto a sacrificare la sua vita ricorrendo al seppuku rituale, pur di evitare al suo paese una guerra con la Germania che riterrebbe devastante.
Riuscita e interessante risulta anche l’introduzione in The Man in the High Castle di personaggi storici che ovviamente hanno avuto nella serie un destino diverso da quello che conosciamo; è il caso dell’SS Oberst-Gruppenführer Reinhard Heydrich (Ray Proscia) il famigerato gerarca nazista braccio destro di Himmler e soprattutto del Fuhrer in persona Adolf Hitler (Wolf Muser) che compare nell’ultimo episodio non così debole e malato come ci era stato fatto credere.

Spoiler!

Abbastanza a sorpresa fa la sua comparsa un Hitler invecchiato ma ancora padrone della situazione che sventa un complotto ai suoi danni ad opera dello spietato Heydrich. Inoltre appare in possesso di una nutrita cineteca composta dai filmati proibiti che tutti vanno cercando. Che sia lui il misterioso ‘Uomo del castello‘ ?

Altra figura ben tratteggiata (presente anche nel romanzo di Dick) è il ministro giapponese del commercio Tagomi (Cary-Hiroyuki Tagawa) a cui viene affidata nel finale di stagione il colpo di scena più sorprendente e carico di interrogativi. Gli sceneggiatori hanno deciso di rischiare parecchio sul piano della credibilità con un finale aperto che contrasta con l’andamento sostanzialmente realistico degli episodi precedenti.

Spoiler!

Tagomi, seduto a meditare su una panchina, si ritrova improvvisamente sbalzato in un’altra America, decisamente più simile a quella che noi conosciamo, senza occupanti giapponesi. Si tratta di una visione o di un viaggio spazio-temporale in un presente alternativo?

The man in the high castle

Nonostante uno svolgimento non sempre avvincente e coerente, la serie targata Amazon si è guadagnata con merito una seconda stagione che avrà il difficile compito di tenere alto l’interesse e di non deludere le aspettative create, non potendo più contare sullo spunto iniziale offerto dal romanzo di Dick, ormai superato dagli eventi mostrati negli episodi. Vedremo se la serie assumerà più decisamente i caratteri di un’opera fantascientifica (Fringe, X-Files) o preferirà seguire le orme fantasiose ed esoteriche di Lost.
Nel corso del 2016 la seconda stagione dovrebbe essere messa in onda sulla piattaforma Amazon Prime con dieci nuovi episodi anche se Spotnitz non comparirà più in veste di showrunner ma solo come produttore.


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